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LA MASCHERA E L’ACQUA
di Ivo Serafino Fenu

È nell’ottica della più intrigante ambiguità che quest’anno il festival Dromos muove i suoi passi. Sono passi incerti, che puntano in diverse direzioni e cercano di tornare ad un improbabile centro che sconfina nel sogno. Un andamento rapsodico per un complesso intreccio di generi musicali ed eventi artistici decisamente sui generis. Forse è per questo che il filo rosso del festival l’ha segnato, sottotraccia, un artista visivo che, in due opere, ne definisce le polarità rivelando una trama sapientemente occultata ma di grande coerenza. Salvatore Garau, uno dei massimi e più apprezzati “pittori” (nel senso più nobile e tradizionale del termine) in ambito nazionale e internazionale, ha elaborato, infatti, l’immagine per Dromos e l’ha intitolata La maschera del rosso. Il dipinto evoca, come spesso accade nell’arte aniconica, analogie e assonanze con la realtà oggettiva, in un gioco di rispecchiamenti in cui è fondamentale il rapporto stringente tra singolo individuo e opera d’arte. Un volto “acquoso”, una maschera orrida o, forse, il lato oscuro e violento di una Sartiglia oramai addomesticata e anestetizzata? L’io e il suo doppio? Il dramma che si volge a commedia o la tragedia che si dissolve nella farsa? È in questo clima che si dipana il percorso musicale di Dromos, a partire dal concerto a Tharros di Vinicio Capossela. Nel suo repertorio convivono il teatro di Brecht e il surrealismo, melodie mediterranee e sonorità di chiara matrice balcanica, pantomime circensi e atmosfere malinconiche che, per l’occasione, si arricchiscono dei nuovi suoni sperimentati nella grotta di Ispinigoli in Sardegna, insieme a Ribot e a tre tenori sardi. Voce di carta vetrata, rumori, inserti chitarristici, campanacci di mamuthones allestiscono una pantomima tanto sconcertante quanto suggestiva. “Folle” è anche il clima proposto dalla Bollywood Brass Band. La BBB ha, infatti, una formazione multirazziale anglo-indiana con strumenti a fiato e con strumenti a percussione della tradizione del subcontinente indiano. Il repertorio spazia da hit filmici vecchi e nuovi tratti dal cinema di Bombay, musiche popolari del Punjab, grandi classici di musicisti indiani con influenze samba, reggae, funk, jazz, balcaniche e world music. Non da meno Danilo Rea, irriverente e poetico, attraversa generi diversi lasciando sempre un segno personalissimo. Con Lirico rivolge il suo interesse al repertorio musicale del melodramma. Interpreta temi tratti dai grandi capolavori del teatro d’opera e improvvisa con piglio eclettico e creativo sulle melodie di Mozart, Puccini, Verdi, Mascagni e Bizet. Dirompente e spiazzante è quanto proposto dal Bread & Tomato Trio, dove Gianluca Petrella insieme a Michele Papadia e Fabio Accardi irrompono su grooves ritmici, “entrando” e “uscendo” dai territori tipici dell’improvvisazione in un energico creativo e vorticoso combo capace di far battere il piede e nutrire la mente. Vorticoso e non meno vivificante per la mente è, infine, il concerto Abba s abba che ha come protagonista assoluta l’acqua. Riti e forme, suoni e ricordi, storie ed emozioni vengono legate al culto antico e moderno dell’acqua. E si giunge così alla seconda opera di Salvatore Garau, ICHTHYS, che, dopo la maschera “liquida” e sanguigna, onirica, deformata dal ritmo dionisiaco della musica, propone un’istallazione “apollinea” nella chiesa di San Giovanni dei Fiori a Oristano che ha per protagonista, ancora una volta, l’acqua. Trasforma la chiesa in novello Battistero con l’intento di unirla, idealmente, ad altri edifici di culto del territorio tramite una vasca per abluzioni abitata da pesci “acrostici” semoventi che, veloci, coi loro guizzi, ne increspano la superficie. In ossequio al Battista rende l’acqua salvifica, che lava, purifica e dà vita e, aldilà degli evidenti rimandi cristologici, la trasforma in anelito ad una spiritualità più profonda, ad un recupero di memoria che si perde, anch’esso, nei mille rivoli di un sogno: il sogno di Dromos.